Hella era una ragazza solitaria e particolare, non amava la confusione.
Le vie della grande Mela e la troppa gente la soffocano si sentiva
Rinchiusa in una morsa dalla quale non Trovava una via di fuga.
Aveva da poco compiuto 17 anni ma lei si era sempre sentita più. Matura non aveva molti amici, anche perché andare d'accordo con la sua personalità irascibile era davvero difficile ed era altrettanto difficile essere amica di una persona che solo guardandoti riusciva ad entrati dentro come un pugnale affilato e assetato di sangue.
"Co's hai da guardare tu?"
Come al solito la gente si fermava a guardarla. Forse erano i suoi occhi grigi quasi trasparenti o i suoi lunghissimi capelli azzurri o forse il suo abbigliamento ovviamente molto diverso da quello delle sue coetanee.
Lei Sapeva di essere molto bella ma nonostante questo odiava quando la gente la guardava, anzi odiava la gente punto.
Quel giorno si era svegliata nervosa, sentiva ,che qualcuno la osservava da giorni, che qualcuno la stava aspettando...
Neanche a dirlo appena girato l angolo di casa.Una figura incappucciata la stava osservando, Hella non perse. Tempo e corse verso strano individuo.....
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Di nuovo lunedì... Eileen sentì suonare la sveglia delle 6:30 con il solito entusiasmo che un'adolescente poteva avere nel realizzare che un'altra settimana era iniziata e la scuola la stava aspettando.
Come ogni mattina, si diresse subito in bagno per cercare la tinta nera con la quale ogni santo giorno provava a nascondere ciò che la rendeva diversa dagli altri ragazzi, ovvero il colore dei suoi capelli. Viola. Com'era potuto succedere? Neanche suo padre riusciva a darsi una spiegazione, eppure eccola lì. Con quelle lunghe ciocche violacee a fissare il suo riflesso allo specchio e a chiedersi perché fosse successo proprio a lei.
-
Da piccola i suoi capelli non attiravano troppo l'attenzione dei compagni. Si sa, i bambini hanno molta immaginazione e Eileen raccontava a tutti di essere un'elfa dei boschi e per questa ragione ogni mattina si faceva colorare i capelli di quel colore così originale.
Crescendo però, la storia non reggeva più ed Eileen dovette trovare una soluzione alternativa. Iniziò dunque ad usare una tinta corvina, talmente scura da poter cancellare ogni possibile barlume di stranezza dalla sua testa.
-
"Non ci credo". Eileen continuò a rovistare tra le boccette dell'armadietto del bagno. La tinta non c'era. "Papà, dimmi che hai comprato la tinta, ti prego". Il padre, si affacciò dalla porta con uno sguardo che parlava da sé. Oggi Eileen sarebbe dovuta andare a scuola con il suo vero colore di capelli.
Se ci pensate, ai giorni d'oggi non è poi così strano avere un colore di capelli di questo tipo, ma per Eileen era comunque la cosa più brutta che potesse capitarle. Lei sapeva che erano i suoi capelli e tremava all'idea che qualcuno potesse scoprirlo.
Iniziò a vestirsi in tutta fretta, mentre una lacrima le rigava il viso. Prese lo zaino e uscì di corsa da quella porta che ormai da anni non veniva chiusa a chiave. Un'altra delle stranezze della sua famiglia. Suo padre non era mai riuscito a darle una spiegazione logica a questa sua fissazione. A volte pensava che sarebbe stato meglio avere la mamma lì con lei... Lei sicuramente l'avrebbe capita.
Prese i capelli e li nascose all'interno del suo cappellino di lana e iniziò a pedalare verso quella, che a suo dire, sarebbe stata la giornata più brutta della sua vita. Nessuno avrebbe capito. Sarebbe diventata lo zimbello della scuola. Voleva tornare indietro. La vista iniziava ad essere sfuocata a causa delle lacrime e all'improvviso una figura scura le si parò davanti.
Eileen frenò così forte che si ribaltò, finendo sull'asfalto freddo. "Guarda dove vai, idiota!". Solo in quel momento si accorse che a fissarla era una figura alta e incappucciata. Di lui erano visibili solamente gli occhi color ghiaccio...
@Eileen Missione 1 completata! A breve riceverai tramite e-mail la tua Chiave di Thuta, con quella potrai accedere ad Ethernity!
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Erano le 6:30 del mattino di una mattina di Luglio, solitamente Alax usciva per andare a fare joking all'improvviso Alex sente un rumore strano si volta ma non vede nessuno, quindi continua a correre, dopo un po' licente un'altra volta lo stesso rumore si volta è vede uno strano individuo sembra che lo stia chiamando, Alex si chiede forse ha bisogno di aiuto quindi decide di andare incontro. " Buongiorno signore ha bisogno d'aiuto" lo strano individuo gli gli risponde "Ciao Alex ti cercavo da moltissimo tempo e finalmente ti ho trovato io mi chiamo Devid e vengo dal futuro sono qui per chiederti aiuto e solo te ci può salvare" Alex lo guarda strano non capendo che cosa vuole. "signore e sicuro di sentirsi bene mi parli di futuro ed io non capisco che cosa centro io E come mai posso salvare solo io".
"Alex sarà una scelta che te farai nei prossimi giorni ha fatto cambiare il destino dell'umanità futura. Vedi Alex nel futuro da dove vengo la gente sarà tutta robotizzata si comporteranno come degli atomi senza un vero scopo nella vita"
" E io che posso fare? "
"dovrai seguirmi con me nel futuro per fermare tutto ciò". Alex gli vuole credere Devid gli sembra una persona buona e sincera. "Ok Devid vengo con te se è tutto vero quello che mi dici"
"grazie Alex mi fa molto piacere che tu abbia accettato di aiutarci" Alex chiede " Devid posso chiederti quando dovremo partire?" "subito Alex prima partiamo meglio è" all'improvviso si apre un portale dal nulla Devid invita Alex ad attiverssllo. Partendo in un futuro con la speranza di poter cambiare il destino della gente.
@leggerechepassione Missione 1 completata! A breve riceverai tramite e-mail la tua Chiave di Thuta, con quella potrai accedere ad Ethernity!
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Nemesi camminava a passo spedito, schivando i passanti che incrociava sul marciapiede. Dopo scuola e prima di rientrare a casa aveva sempre fretta di raggiungere la piccola libreria nel quartiere di Brooklyn. Non era nemmeno di strada per tornare alla sua abitazione, ma ogni giorno si faceva tutta quella camminata solo per arrivare in quella tipica libreria e aggiungere alla sua collezione un nuovo libro, un nuovo viaggio, una nuova storia. La lettura era il suo mondo, come poteva non essere altrimenti con due professori universitari di lettere classiche ed esperti in mitologia greca come genitori. Il suo nome così particolare ne era la prova tangibile. L’aveva odiato quel nome, così strano e inusuale, ma con il tempo aveva imparato ad accettarlo; aveva un significato forte, e per lei questo era fondamentale nella vita: che le cose avessero tutte un loro significato. E poi d’altronde la prima ad essere strana era lei stessa: non dava ai confidenza a nessuno, non aveva una migliore amica, non aveva un ragazzo, non aveva niente che l’accomunasse ai suoi coetanei diciassettenni. Aveva solo il suo mondo fatto di libri.
Il sole stava tramontando creando una luce dorata che illuminava le finestre e le vetrine dei palazzi. Nemesi adorava quel momento della giornata, in cui tutto diventava più caldo, persino i suoi capelli nerissimi, la sua pelle bianca come neve e i suoi occhi di un verde molto scuro.
Era quasi arrivata nei pressi della libreria, stava per svoltare nel solito vicolo che usava come scorciatoia, quando una strana sensazione di essere seguita iniziò a crescere dentro di lei. Aumentò il passo e quasi correndo raggiunse l’entrata della libreria rifugiandosi al suo interno. Era solo paranoica, la sua ansia cronica faceva brutti scherzi. E invece, un secondo dopo di lei entrò nel locale una strana figura vestita di nero e con un cappuccio che le copriva il volto. Nemesi fissando questa misteriosa persona capì che le sue sensazioni erano vere.
@Nemesi Missione 1 completata! A breve riceverai tramite e-mail la tua Chiave di Thuta, con quella potrai accedere ad Ethernity!
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Era ora di pranzo, l’orologio segnava le 13.37 e lo stomaco di Alicia cominciava a emettere suoni sgradevoli a suo avviso. Si alzò dal divano rosso che spiccava nel suo piccolo salotto e si diresse verso la cucina. Aprì vari cassetti cercando qualcosa da sgranocchiare, quando trovò un pacco di grissini invitanti. Li prese e li poggiò sul tavolo e scorse un piccolo biglietto lasciato lì da parte della madre. Esso diceva di andare a comprare delle uova così che quella sera avrebbe potuto cucinare qualcosa di buono. Alicia un po’ svogliata prese il cappotto nero appoggiato sulla sedia accanto alla porta e uscì di casa. Le temperature erano abbastanza basse, quindi si mise il cappuccio che andò a coprire i suoi capelli color neve intrecciati fra loro e creando piccole trecce che le scendevano lungo il collo. Dovette fare un po’ di strada prima di arrivare al negozietto dove sua madre faceva sempre la spesa. Entrò in fretta e furia per potersi scaldare un pochino e iniziò subito a cercare tra le corsie. Gli sguardi delle persone si facevano sentire e Alicia non sapeva se era per via dei suoi capelli oppure era a causa dei suoi occhi, non era normale vedere una ragazza dagli occhi diversi, soprattutto se uno era color oro e l’altro argenteo. Notò però che un figuro la fissava in modo diverso, era alto e coperto da una vestaglia nera con un cappuccio che gli copriva completamente la faccia. Decise di non farci caso e continuò imperterrita a cercare le uova. Certe volte si girava e trovava l’uomo esattamente dietro di lei, aveva paura, ma forse era solo un po’ paranoica.
@Alicia Missione 1 completata! A breve riceverai tramite e-mail la tua Chiave di Thuta, con quella potrai accedere ad Ethernity!
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Pioveva sulla città di New York, fino a poco prima splendeva il sole, ma da pochi minuti era iniziato un vero e proprio acquazzone. Ben pochi erano quelli che avevano un ombrello o una giacca con il cappuccio, molti stavano andando a rifugiarsi nel primo bar che trovavano. Alcuni cercavano di ripararsi con il colletto della giacca, altri ancora con il giornale o le buste con gli acquisti. Kate non era una di quelli. La ragazza non aveva né la giacca, né un giornale, e nemmeno un sacchetto. Camminava a testa bassa, i lunghi capelli blu che le ricadevano davanti agli occhi. Teneva le mani in tasca con la speranza di riscaldarsi. Attraversò la strada trafficata senza prestare attenzione alle macchine o alle altre persone. Era fatta così, la madre l'aveva sempre soprannominata Alice, "sei sempre persa nella tua Wonderland" diceva. E aveva ragione, la diciassettenne spesso si perdeva nei suoi pensieri, che fosse da sola o in compagnia. A scuola i suoi compagni la evitavano, qualcuno aveva cercato di fare amicizia, ma lei non parlava spesso, e aveva sempre quell'espressione persa nel vuoto, in un mondo che solo lei poteva raggiungere. Per questo le persone rinunciavano a parlarle e si allontanavano. Anche in quel momento era nel suo piccolo mondo, non prestava attenzione a chi o cosa avesse intorno. Che fosse per la sua scarsa attenzione o per la maldestra fretta dell'uomo non avrebbe saputo dirlo, ma in un attimo si ritrovò a terra. Si voltò verso la figura che l'aveva fatta cadere, ma questo non l'aveva degnata di uno sguardo e stava continuando per la sua strada. Kate cercò di alzarsi, e in quel momento si accorse che la sua solita sfortuna, che sembrava perseguitarla fin dalla nascita, aveva fatto sì che cadesse nell'unica pozzanghera presente nei paraggi. Imprecando mentalmente, la ragazza si rimise in piedi, ma quando alzò lo sguardo rimase pietrificata, incapace di muoversi. C'era una figura incappucciata sul marciapiede dall'altra parte della strada. E la stava fissando con un'intensità che la fece rabbrividire. Chissà da quanto era lì.
@Kate Missione 1 completata! A breve riceverai tramite e-mail la tua Chiave di Thuta, con quella potrai accedere ad Ethernity!
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New York, che città incredibile. Grace amava trascorrere i pomeriggi immersa nella grande mela, camminando per ore intere persa nella musica delle sue cuffiette, che la estraniavano dal mondo. Un mondo in cui non si sentiva a suo agio. Derisa per una forma particolare delle sue orecchie da bambina, leggermente più a punta dei suoi compagni, portava i capelli lunghi chGracee le coprivano bene , dandole un’aria misteriosa. Stava bene così, sola a camminare e a perdersi, come spesso le accadeva, ma la natura di Central Park, quel polmone verde tra gli edifici, la richiamava sempre a se. Non sapeva spiegarselo, ma quando perdeva l’orientamento, sempre lì finiva. Anche quel giorno successe, immaginando un mondo fantastico, un mondo in cui poteva portare i capelli come voleva, distratta dalla musica rock nelle orecchie, si ritrovò in una parte della città che non conosceva. Un cantiere a destra e un palazzo in costruzione a sinistra, davanti a lei la strada chiusa. Si voltò in cerca di un cartello o un’indicazione e l’unica cosa che trovò fu un cartello quasi distrutto in cui si leggeva soltanto “venue”. <<Almeno è una via>> sussurrò tra se e se. Trasse due respiri profondi, si girò e chiuse gli occhi, inspirando dal naso. Ecco quell’odore di erba e alberi che la chiamava. Con la testa bassa si incamminò. Le parve di aver percorso vari isolati, quando quasi inciampò in un cespuglio. Central Park. Si diresse verso il suo albero preferito, nella natura non aveva bisogno di orientarsi, le gambe la portavano esattamente dove voleva andare. Si sedette all’ombra della grande chioma e si strinse nella felpa. L’aria gelida della sera le sferzava il viso, così alzò il cappuccio. La pace, quella era la sua pace. Smarrita nel suo mondo perfetto, sentì uno sguardo su di se. Quella sensazione di sentirsi osservata. D’istinto si portò le mani alle orecchie, ma quelle erano coperte dai capelli e dal cappuccio. Chi la fissava? Alzò lo sguardo e, al centro della passeggiata del parco, un uomo incappucciato la guardava. Lo sconosciuto le fece segno e la giovane non seppe cosa fare. Il parco sembrava deserto. Voleva scappare ed urlare. Un piccolissimo movimento, ma quell’uomo le rivolse un sorriso che illuminò la distanza tra loro, abbassando il cappuccio quel tanto per mostrarle le orecchie, a punta, più delle sue. Qualcosa le disse di avvicinarsi e così fece, attendendo una spiegazione.
@Grace la tua missione è incompleta. Come fatto presente nella sezione “Come Funziona?” a fine Missione bisogna mandare una e-mail di avvenuta Missione con tutti i dettagli (il tuo nome, data in cui hai effettuato la Missione e che numero di Missione hai appena completato). Invia la tua mail tramite l’apposita casella di “Contatti” che trovi in ogni pagina del sito.
@Grace Missione 1 completata! A breve riceverai tramite e-mail la tua Chiave di Thuta, con quella potrai accedere ad Ethernity!
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Una vita passata ad aiutare gli altri. Ecco come la giovane Ailisiv definiva la sua vita. A 17 anni avrebbe dovuto godersi la sua giovinezza, stare con i ragazzi della sua età, uscire .... Eppure lei si sentiva particolarmente distante da queste cose. Neanche vivere nella grande mela la rendeva euforica. Ciò che la faceva stare bene era aiutare gli altri. Ma non sapeva che quel giorno la sua vita avrebbe avuto un risvolto imprevedibile. Erano giorni ormai che ogni volta che usciva si sentiva seguita, osservata, ma quel giorno mentre si dirigeva come ogni volta al centro rieducativo per bambini vide sulla soglia di casa una figura misteriosa. Cappuccio e veste nera, come quella della morte. La ragazza guardò la figura spaventata e si avvicinò. Voleva dire qualcosa ma sentiva la gola secca...Chi era quella figura , cosa voleva da lei?
@Ailisiv♥️ la tua missione è incompleta. Come fatto presente nella sezione “Come Funziona?” a fine Missione bisogna mandare una e-mail di avvenuta Missione con tutti i dettagli (il tuo nome, data in cui hai effettuato la Missione e che numero di Missione hai appena completato). Invia la tua mail tramite l’apposita casella di “Contatti” che trovi in ogni pagina del sito.
@Ailisiv♥️ Missione 1 completata! A breve riceverai tramite e-mail la tua Chiave di Thuta, con quella potrai accedere ad Ethernity!
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Evelune era decisamente troppo eccentrica, persino per New York, dove le persone fuggivano in cerca di loro stesse e della loro strada. Lei al contrario se ne sarebbe subito andata. Nonostante la Grande Mela fosse una città piuttosto tollerante e abituata alle stranezze, la sua folta chioma blu non passava mai inosservata e avrebbe tanto voluto disfarsene, ma era la sola cosa di se che sentiva andare bene, essere al posto giusto, così come doveva essere. Guardandosi allo specchio, fin da quando era bambina, aveva sempre trovato difetti; troppo bianca, troppo magra, troppo alta per la sua età, il giorno in cui aveva deciso di far sparire il rosso dei suoi capelli si era finalmente sentita un po' più giusta, un po' più Evelune. Fortunatamente nella scuola d'arte che frequentava tutto il suo aspetto rientrava nella soglia del "normale" e neppure quando si sporcava tutto il viso di tempera, come un bambino, questo cambiava. Quel giorno però l'istituto era chiuso, qualche studente aveva deciso che il fine settimana lungo sarebbe stato decisamente più entusiasmante di uno normale e così quel venerdì mattina aveva scoperto che la scuola si era allagata durante la notte; quindi niente lezioni fino a lunedì.Spronata dal padre a cercare sempre il lato positivo in tutte le cose, Evelune si era recata a Central Park, in un luogo piuttosto isolato del parco, sotto un grande albero nascosto nel polmone verde della città. Aveva tirato fuori il suo novantanovesimo album da disegno e aveva lasciato correre la matita sulla carta bianca immacolata. Disegnava da quando ne aveva memoria e ciò voleva dire da sempre. Lei e suo padre erano la coppia perfetta, lui scriveva storie e lei dava loro vita. Le parole erano sempre state un problema per Evelune, le era sempre venuto meglio esprimersi con dei disegni o degli schizzi; una volta suo padre le aveva raccontato che da bambina c'era stato un periodo in cui aveva smesso di parlare, iniziando ad esprimersi solo con quelli. Evelune aveva inteso di averlo fatto impazzire in quel periodo, perchè per quanto brava adesso fosse, immaginava che a sei anni i suoi disegni non fossero di così semplice intuizione.Mentre si concentrava sul foglio da disegno, inventando l'ennesima storia su un mondo fantastico che esisteva solo nella sua mente, i lunghi capelli blu le ricaddero sul viso, nascondendolo in parte. Di solito ciò bastava a farla sentire protetta e al sicuro, come se quella folta tenda color notte riuscisse in qualche modo a separarla dal mondo reale e condurla invece nella sua fantasia. Quella mattina però Evelune si sentiva osservata, irrequieta e sebbene Central Park fosse deserto e attorno a lei non vi fosse apparentemente nessuno, percepiva occhi scrutarla. Come era solita fare, prese a trasportare su carta quella sua sensazione senza però immaginare che potesse prender vita davvero, davanti ai suoi occhi. La matita ricadde con tonfo sordo sull'album, rotolando sul tappeto d'erba smeraldina su cui Evelune sedeva a gambe incrociate. Davanti a lei un lungo mantello scuro si alzava da terra, salendo verso l'alto e rivestendo per intero la figura dal volto coperto che incombeva su di lei.
Evelune smise di respirare, il suo cuore smise di battere, l'intero mondo sembrò fermarsi, chiudersi in una bolla d'acqua e lasciare fuori ogni cosa.
@Evelune Missione 1 completata! A breve riceverai tramite e-mail la tua Chiave di Thuta, con quella potrai accedere ad Ethernity!
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Rose aveva sempre immaginato come potesse essere una grande città, ma mai avrebbe pensato di ritrovarsi immersa tra enormi grattacieli. Il rumore del traffico e il brusio delle persone quasi la infastidivano; tutto troppo caotico per una ragazza che ama stare a contatto con la natura.
La ragazza dai lunghi capelli ricci, passava il suo tempo tra i boschi, le piaceva sdraiarsi sull'erba e lasciarsi accarezzare dalla leggera brezza mattutina, molto spesso degli animali si avvicinavano a lei, cercando di comunicare, come se lei potesse capirli.
In realtà ha sempre avuto la sensazione che qualcosa di più grande la stesse aspettando e forse a New York avrebbe trovato le risposte che tanto stava cercando.
Il giorno in cui arrivò nella grande mela pensò "qui sarà difficile trovare un posto tranquillo". La sua nuova casa era a qualche isolato di distanza dalla scuola, così, come ogni mattina , dopo aver fatto colazione prese la sua borsa e uscì di casa a piedi.
A scuola tutti le sembravano così vuoti, frivoli, così abituati a quella vita caotica che non le apparteneva. Finite le lezioni decise di recarsi a Central Park (unico posto in cui si sentiva veramente capita) e passeggiando tra gli innumerevoli sentieri ebbe la sensazione di essere osservata, fin quando dietro ad un albero vide una figura incappucciata che sembrava aspettarla.
@Rose Missione 1 completata! A breve riceverai tramite e-mail la tua Chiave di Thuta, con quella potrai accedere ad Ethernity!
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Lilith si era sempre sentita fuori posto, ovunque si trovasse. Nonostante la grandissima città che la circondava, le infinite strade ed i maestosi palazzi, le sue gambe non riuscivano a trovare mai pace, veloci la portavano ovunque e in nessun posto. Passava la sua vita dentro la sua testa, immersa nelsuo mondo, e molto spesso, lontana da tutti i suoi simili. Non erano come lei, erano leggeri... come vuoti, e non sempre riusciva a fingere, per poter conoscere un contatto umano. Quel giorno era particolarmente stufa, di tutto, e a scuola non era voluta andare. L'idea di doversi confrontare con il mondo, la nauseava, e purtroppo le capitava molto spesso di ritrovarsi così: il viso pallido nascosto da lunghissimi capelli neri, le mani nel giubbotto e le cuffiette nelle orecchie, a chiudere il caos del mondo, fuori dal suo. Camminava senza meta, sotto una leggera pioggia, ormai da tutta la mattina. Aveva attraversato il parco, cuore della città, da cima a fondo, si era soffermata su diverse panchineumide, e in mezzo ad alcune strade, sulle strisce pedonali, con lo sguardo rivolto verso l'altro, i taxi a suonarle, spazientiti, di fretta... ma nessun posto sembrava riuscire a rincuorarla.
Alzando il naso verso il cielo plumbeo, sentì lo stomaco brontolare furioso... era ora di fronte ad un bar, fortunatamente, deserto. Sorridendo gentile alla donna dietro il bancone, ordinò un caffè doppio con latte ed andò a sedersi su uno sgabello alto, di fronte all'ampia vetrata che dava sulla via affollata. Dallo zaino prese un diario, rigorosamente nero, una penna e iniziò a scarabocchiare. Ognitanto il suo sguardo si posava all'esterno, in cerca di un pensiero, o perso in una qualche sua folle fantasticheria, mentre mordicchiava, gentilmente, le lunghissime unghie e sorseggiava quel caffè a cui aveva aggiunto decisamente troppo zucchero.
"Tutti finiscono a chiedersi alla mia età -e non solo- chi sono io?".
Scrisse senza badare alla calligrafia, correndo con le dita dietro ai pensieri veloci. "chissà quanti riescono poi a rispondersi. Cerco ogni giorno quella scintilla che possa illuminare la mia strada, la realtà che mi appartiene. Sono sicura tutti noi ne abbiamo una, quella giusta, quella che ci scalda il cuore... quella che ci fa sentire al nostro posto."
Sospirò, spostando i capelli dietro le orecchie, perdendo per un attimo lo sguardo, nel nulla. "Forse sono solo una sognatrice... e finirò per cadere dall'alto di queste nuvole cheho nella testa...".
Concluse lasciando cadere la penna, e stringendosi le braccia al petto, fissando la pagina su cui aveva appena scritto con i grandissimi occhi scuri.
Gli stessi che alzò, sconsolati, di nuovo di fronte a sé.
Sentì il sangue gelare.
Una figura incappucciata, era lì, riflessa, fuori da quel vetro, in strada.
@Lilith Missione 1 completata! A breve riceverai tramite e-mail la tua Chiave di Thuta, con quella potrai accedere ad Ethernity!
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§ Hellawess §
Hella era una ragazza solitaria e particolare, non amava la confusione.
Le vie della grande Mela e la troppa gente la soffocano si sentiva
Rinchiusa in una morsa dalla quale non Trovava una via di fuga.
Aveva da poco compiuto 17 anni ma lei si era sempre sentita più. Matura non aveva molti amici, anche perché andare d'accordo con la sua personalità irascibile era davvero difficile ed era altrettanto difficile essere amica di una persona che solo guardandoti riusciva ad entrati dentro come un pugnale affilato e assetato di sangue.
"Co's hai da guardare tu?"
Come al solito la gente si fermava a guardarla. Forse erano i suoi occhi grigi quasi trasparenti o i suoi lunghissimi capelli azzurri o forse il suo abbigliamento ovviamente molto diverso da quello delle sue coetanee.
Lei Sapeva di essere molto bella ma nonostante questo odiava quando la gente la guardava, anzi odiava la gente punto.
Quel giorno si era svegliata nervosa, sentiva ,che qualcuno la osservava da giorni, che qualcuno la stava aspettando...
Neanche a dirlo appena girato l angolo di casa.Una figura incappucciata la stava osservando, Hella non perse. Tempo e corse verso strano individuo.....
~~Eileen~~
Di nuovo lunedì... Eileen sentì suonare la sveglia delle 6:30 con il solito entusiasmo che un'adolescente poteva avere nel realizzare che un'altra settimana era iniziata e la scuola la stava aspettando.
Come ogni mattina, si diresse subito in bagno per cercare la tinta nera con la quale ogni santo giorno provava a nascondere ciò che la rendeva diversa dagli altri ragazzi, ovvero il colore dei suoi capelli. Viola. Com'era potuto succedere? Neanche suo padre riusciva a darsi una spiegazione, eppure eccola lì. Con quelle lunghe ciocche violacee a fissare il suo riflesso allo specchio e a chiedersi perché fosse successo proprio a lei.
-
Da piccola i suoi capelli non attiravano troppo l'attenzione dei compagni. Si sa, i bambini hanno molta immaginazione e Eileen raccontava a tutti di essere un'elfa dei boschi e per questa ragione ogni mattina si faceva colorare i capelli di quel colore così originale.
Crescendo però, la storia non reggeva più ed Eileen dovette trovare una soluzione alternativa. Iniziò dunque ad usare una tinta corvina, talmente scura da poter cancellare ogni possibile barlume di stranezza dalla sua testa.
-
"Non ci credo". Eileen continuò a rovistare tra le boccette dell'armadietto del bagno. La tinta non c'era. "Papà, dimmi che hai comprato la tinta, ti prego". Il padre, si affacciò dalla porta con uno sguardo che parlava da sé. Oggi Eileen sarebbe dovuta andare a scuola con il suo vero colore di capelli.
Se ci pensate, ai giorni d'oggi non è poi così strano avere un colore di capelli di questo tipo, ma per Eileen era comunque la cosa più brutta che potesse capitarle. Lei sapeva che erano i suoi capelli e tremava all'idea che qualcuno potesse scoprirlo.
Iniziò a vestirsi in tutta fretta, mentre una lacrima le rigava il viso. Prese lo zaino e uscì di corsa da quella porta che ormai da anni non veniva chiusa a chiave. Un'altra delle stranezze della sua famiglia. Suo padre non era mai riuscito a darle una spiegazione logica a questa sua fissazione. A volte pensava che sarebbe stato meglio avere la mamma lì con lei... Lei sicuramente l'avrebbe capita.
Prese i capelli e li nascose all'interno del suo cappellino di lana e iniziò a pedalare verso quella, che a suo dire, sarebbe stata la giornata più brutta della sua vita. Nessuno avrebbe capito. Sarebbe diventata lo zimbello della scuola. Voleva tornare indietro. La vista iniziava ad essere sfuocata a causa delle lacrime e all'improvviso una figura scura le si parò davanti.
Eileen frenò così forte che si ribaltò, finendo sull'asfalto freddo. "Guarda dove vai, idiota!". Solo in quel momento si accorse che a fissarla era una figura alta e incappucciata. Di lui erano visibili solamente gli occhi color ghiaccio...
Erano le 6:30 del mattino di una mattina di Luglio, solitamente Alax usciva per andare a fare joking all'improvviso Alex sente un rumore strano si volta ma non vede nessuno, quindi continua a correre, dopo un po' licente un'altra volta lo stesso rumore si volta è vede uno strano individuo sembra che lo stia chiamando, Alex si chiede forse ha bisogno di aiuto quindi decide di andare incontro. " Buongiorno signore ha bisogno d'aiuto" lo strano individuo gli gli risponde "Ciao Alex ti cercavo da moltissimo tempo e finalmente ti ho trovato io mi chiamo Devid e vengo dal futuro sono qui per chiederti aiuto e solo te ci può salvare" Alex lo guarda strano non capendo che cosa vuole. "signore e sicuro di sentirsi bene mi parli di futuro ed io non capisco che cosa centro io E come mai posso salvare solo io".
"Alex sarà una scelta che te farai nei prossimi giorni ha fatto cambiare il destino dell'umanità futura. Vedi Alex nel futuro da dove vengo la gente sarà tutta robotizzata si comporteranno come degli atomi senza un vero scopo nella vita"
" E io che posso fare? "
"dovrai seguirmi con me nel futuro per fermare tutto ciò". Alex gli vuole credere Devid gli sembra una persona buona e sincera. "Ok Devid vengo con te se è tutto vero quello che mi dici"
"grazie Alex mi fa molto piacere che tu abbia accettato di aiutarci" Alex chiede " Devid posso chiederti quando dovremo partire?" "subito Alex prima partiamo meglio è" all'improvviso si apre un portale dal nulla Devid invita Alex ad attiverssllo. Partendo in un futuro con la speranza di poter cambiare il destino della gente.
Nemesi camminava a passo spedito, schivando i passanti che incrociava sul marciapiede. Dopo scuola e prima di rientrare a casa aveva sempre fretta di raggiungere la piccola libreria nel quartiere di Brooklyn. Non era nemmeno di strada per tornare alla sua abitazione, ma ogni giorno si faceva tutta quella camminata solo per arrivare in quella tipica libreria e aggiungere alla sua collezione un nuovo libro, un nuovo viaggio, una nuova storia. La lettura era il suo mondo, come poteva non essere altrimenti con due professori universitari di lettere classiche ed esperti in mitologia greca come genitori. Il suo nome così particolare ne era la prova tangibile. L’aveva odiato quel nome, così strano e inusuale, ma con il tempo aveva imparato ad accettarlo; aveva un significato forte, e per lei questo era fondamentale nella vita: che le cose avessero tutte un loro significato. E poi d’altronde la prima ad essere strana era lei stessa: non dava ai confidenza a nessuno, non aveva una migliore amica, non aveva un ragazzo, non aveva niente che l’accomunasse ai suoi coetanei diciassettenni. Aveva solo il suo mondo fatto di libri.
Il sole stava tramontando creando una luce dorata che illuminava le finestre e le vetrine dei palazzi. Nemesi adorava quel momento della giornata, in cui tutto diventava più caldo, persino i suoi capelli nerissimi, la sua pelle bianca come neve e i suoi occhi di un verde molto scuro.
Era quasi arrivata nei pressi della libreria, stava per svoltare nel solito vicolo che usava come scorciatoia, quando una strana sensazione di essere seguita iniziò a crescere dentro di lei. Aumentò il passo e quasi correndo raggiunse l’entrata della libreria rifugiandosi al suo interno. Era solo paranoica, la sua ansia cronica faceva brutti scherzi. E invece, un secondo dopo di lei entrò nel locale una strana figura vestita di nero e con un cappuccio che le copriva il volto. Nemesi fissando questa misteriosa persona capì che le sue sensazioni erano vere.
~Alicia~
Era ora di pranzo, l’orologio segnava le 13.37 e lo stomaco di Alicia cominciava a emettere suoni sgradevoli a suo avviso. Si alzò dal divano rosso che spiccava nel suo piccolo salotto e si diresse verso la cucina. Aprì vari cassetti cercando qualcosa da sgranocchiare, quando trovò un pacco di grissini invitanti. Li prese e li poggiò sul tavolo e scorse un piccolo biglietto lasciato lì da parte della madre. Esso diceva di andare a comprare delle uova così che quella sera avrebbe potuto cucinare qualcosa di buono. Alicia un po’ svogliata prese il cappotto nero appoggiato sulla sedia accanto alla porta e uscì di casa. Le temperature erano abbastanza basse, quindi si mise il cappuccio che andò a coprire i suoi capelli color neve intrecciati fra loro e creando piccole trecce che le scendevano lungo il collo. Dovette fare un po’ di strada prima di arrivare al negozietto dove sua madre faceva sempre la spesa. Entrò in fretta e furia per potersi scaldare un pochino e iniziò subito a cercare tra le corsie. Gli sguardi delle persone si facevano sentire e Alicia non sapeva se era per via dei suoi capelli oppure era a causa dei suoi occhi, non era normale vedere una ragazza dagli occhi diversi, soprattutto se uno era color oro e l’altro argenteo. Notò però che un figuro la fissava in modo diverso, era alto e coperto da una vestaglia nera con un cappuccio che gli copriva completamente la faccia. Decise di non farci caso e continuò imperterrita a cercare le uova. Certe volte si girava e trovava l’uomo esattamente dietro di lei, aveva paura, ma forse era solo un po’ paranoica.
~Kate~
Pioveva sulla città di New York, fino a poco prima splendeva il sole, ma da pochi minuti era iniziato un vero e proprio acquazzone. Ben pochi erano quelli che avevano un ombrello o una giacca con il cappuccio, molti stavano andando a rifugiarsi nel primo bar che trovavano. Alcuni cercavano di ripararsi con il colletto della giacca, altri ancora con il giornale o le buste con gli acquisti. Kate non era una di quelli. La ragazza non aveva né la giacca, né un giornale, e nemmeno un sacchetto. Camminava a testa bassa, i lunghi capelli blu che le ricadevano davanti agli occhi. Teneva le mani in tasca con la speranza di riscaldarsi. Attraversò la strada trafficata senza prestare attenzione alle macchine o alle altre persone. Era fatta così, la madre l'aveva sempre soprannominata Alice, "sei sempre persa nella tua Wonderland" diceva. E aveva ragione, la diciassettenne spesso si perdeva nei suoi pensieri, che fosse da sola o in compagnia. A scuola i suoi compagni la evitavano, qualcuno aveva cercato di fare amicizia, ma lei non parlava spesso, e aveva sempre quell'espressione persa nel vuoto, in un mondo che solo lei poteva raggiungere. Per questo le persone rinunciavano a parlarle e si allontanavano. Anche in quel momento era nel suo piccolo mondo, non prestava attenzione a chi o cosa avesse intorno. Che fosse per la sua scarsa attenzione o per la maldestra fretta dell'uomo non avrebbe saputo dirlo, ma in un attimo si ritrovò a terra. Si voltò verso la figura che l'aveva fatta cadere, ma questo non l'aveva degnata di uno sguardo e stava continuando per la sua strada. Kate cercò di alzarsi, e in quel momento si accorse che la sua solita sfortuna, che sembrava perseguitarla fin dalla nascita, aveva fatto sì che cadesse nell'unica pozzanghera presente nei paraggi. Imprecando mentalmente, la ragazza si rimise in piedi, ma quando alzò lo sguardo rimase pietrificata, incapace di muoversi. C'era una figura incappucciata sul marciapiede dall'altra parte della strada. E la stava fissando con un'intensità che la fece rabbrividire. Chissà da quanto era lì.
~~Grace~~
New York, che città incredibile. Grace amava trascorrere i pomeriggi immersa nella grande mela, camminando per ore intere persa nella musica delle sue cuffiette, che la estraniavano dal mondo. Un mondo in cui non si sentiva a suo agio. Derisa per una forma particolare delle sue orecchie da bambina, leggermente più a punta dei suoi compagni, portava i capelli lunghi chGracee le coprivano bene , dandole un’aria misteriosa. Stava bene così, sola a camminare e a perdersi, come spesso le accadeva, ma la natura di Central Park, quel polmone verde tra gli edifici, la richiamava sempre a se. Non sapeva spiegarselo, ma quando perdeva l’orientamento, sempre lì finiva. Anche quel giorno successe, immaginando un mondo fantastico, un mondo in cui poteva portare i capelli come voleva, distratta dalla musica rock nelle orecchie, si ritrovò in una parte della città che non conosceva. Un cantiere a destra e un palazzo in costruzione a sinistra, davanti a lei la strada chiusa. Si voltò in cerca di un cartello o un’indicazione e l’unica cosa che trovò fu un cartello quasi distrutto in cui si leggeva soltanto “venue”. <<Almeno è una via>> sussurrò tra se e se. Trasse due respiri profondi, si girò e chiuse gli occhi, inspirando dal naso. Ecco quell’odore di erba e alberi che la chiamava. Con la testa bassa si incamminò. Le parve di aver percorso vari isolati, quando quasi inciampò in un cespuglio. Central Park. Si diresse verso il suo albero preferito, nella natura non aveva bisogno di orientarsi, le gambe la portavano esattamente dove voleva andare. Si sedette all’ombra della grande chioma e si strinse nella felpa. L’aria gelida della sera le sferzava il viso, così alzò il cappuccio. La pace, quella era la sua pace. Smarrita nel suo mondo perfetto, sentì uno sguardo su di se. Quella sensazione di sentirsi osservata. D’istinto si portò le mani alle orecchie, ma quelle erano coperte dai capelli e dal cappuccio. Chi la fissava? Alzò lo sguardo e, al centro della passeggiata del parco, un uomo incappucciato la guardava. Lo sconosciuto le fece segno e la giovane non seppe cosa fare. Il parco sembrava deserto. Voleva scappare ed urlare. Un piccolissimo movimento, ma quell’uomo le rivolse un sorriso che illuminò la distanza tra loro, abbassando il cappuccio quel tanto per mostrarle le orecchie, a punta, più delle sue. Qualcosa le disse di avvicinarsi e così fece, attendendo una spiegazione.
Una vita passata ad aiutare gli altri. Ecco come la giovane Ailisiv definiva la sua vita. A 17 anni avrebbe dovuto godersi la sua giovinezza, stare con i ragazzi della sua età, uscire .... Eppure lei si sentiva particolarmente distante da queste cose. Neanche vivere nella grande mela la rendeva euforica. Ciò che la faceva stare bene era aiutare gli altri. Ma non sapeva che quel giorno la sua vita avrebbe avuto un risvolto imprevedibile. Erano giorni ormai che ogni volta che usciva si sentiva seguita, osservata, ma quel giorno mentre si dirigeva come ogni volta al centro rieducativo per bambini vide sulla soglia di casa una figura misteriosa. Cappuccio e veste nera, come quella della morte. La ragazza guardò la figura spaventata e si avvicinò. Voleva dire qualcosa ma sentiva la gola secca...Chi era quella figura , cosa voleva da lei?
☽ 𝘌𝘷𝘦𝘭𝘶𝘯𝘦 ☾
Evelune era decisamente troppo eccentrica, persino per New York, dove le persone fuggivano in cerca di loro stesse e della loro strada. Lei al contrario se ne sarebbe subito andata. Nonostante la Grande Mela fosse una città piuttosto tollerante e abituata alle stranezze, la sua folta chioma blu non passava mai inosservata e avrebbe tanto voluto disfarsene, ma era la sola cosa di se che sentiva andare bene, essere al posto giusto, così come doveva essere. Guardandosi allo specchio, fin da quando era bambina, aveva sempre trovato difetti; troppo bianca, troppo magra, troppo alta per la sua età, il giorno in cui aveva deciso di far sparire il rosso dei suoi capelli si era finalmente sentita un po' più giusta, un po' più Evelune. Fortunatamente nella scuola d'arte che frequentava tutto il suo aspetto rientrava nella soglia del "normale" e neppure quando si sporcava tutto il viso di tempera, come un bambino, questo cambiava. Quel giorno però l'istituto era chiuso, qualche studente aveva deciso che il fine settimana lungo sarebbe stato decisamente più entusiasmante di uno normale e così quel venerdì mattina aveva scoperto che la scuola si era allagata durante la notte; quindi niente lezioni fino a lunedì. Spronata dal padre a cercare sempre il lato positivo in tutte le cose, Evelune si era recata a Central Park, in un luogo piuttosto isolato del parco, sotto un grande albero nascosto nel polmone verde della città. Aveva tirato fuori il suo novantanovesimo album da disegno e aveva lasciato correre la matita sulla carta bianca immacolata. Disegnava da quando ne aveva memoria e ciò voleva dire da sempre. Lei e suo padre erano la coppia perfetta, lui scriveva storie e lei dava loro vita. Le parole erano sempre state un problema per Evelune, le era sempre venuto meglio esprimersi con dei disegni o degli schizzi; una volta suo padre le aveva raccontato che da bambina c'era stato un periodo in cui aveva smesso di parlare, iniziando ad esprimersi solo con quelli. Evelune aveva inteso di averlo fatto impazzire in quel periodo, perchè per quanto brava adesso fosse, immaginava che a sei anni i suoi disegni non fossero di così semplice intuizione. Mentre si concentrava sul foglio da disegno, inventando l'ennesima storia su un mondo fantastico che esisteva solo nella sua mente, i lunghi capelli blu le ricaddero sul viso, nascondendolo in parte. Di solito ciò bastava a farla sentire protetta e al sicuro, come se quella folta tenda color notte riuscisse in qualche modo a separarla dal mondo reale e condurla invece nella sua fantasia. Quella mattina però Evelune si sentiva osservata, irrequieta e sebbene Central Park fosse deserto e attorno a lei non vi fosse apparentemente nessuno, percepiva occhi scrutarla. Come era solita fare, prese a trasportare su carta quella sua sensazione senza però immaginare che potesse prender vita davvero, davanti ai suoi occhi. La matita ricadde con tonfo sordo sull'album, rotolando sul tappeto d'erba smeraldina su cui Evelune sedeva a gambe incrociate. Davanti a lei un lungo mantello scuro si alzava da terra, salendo verso l'alto e rivestendo per intero la figura dal volto coperto che incombeva su di lei.
Evelune smise di respirare, il suo cuore smise di battere, l'intero mondo sembrò fermarsi, chiudersi in una bolla d'acqua e lasciare fuori ogni cosa.
~Rose~
Rose aveva sempre immaginato come potesse essere una grande città, ma mai avrebbe pensato di ritrovarsi immersa tra enormi grattacieli. Il rumore del traffico e il brusio delle persone quasi la infastidivano; tutto troppo caotico per una ragazza che ama stare a contatto con la natura.
La ragazza dai lunghi capelli ricci, passava il suo tempo tra i boschi, le piaceva sdraiarsi sull'erba e lasciarsi accarezzare dalla leggera brezza mattutina, molto spesso degli animali si avvicinavano a lei, cercando di comunicare, come se lei potesse capirli.
In realtà ha sempre avuto la sensazione che qualcosa di più grande la stesse aspettando e forse a New York avrebbe trovato le risposte che tanto stava cercando.
Il giorno in cui arrivò nella grande mela pensò "qui sarà difficile trovare un posto tranquillo". La sua nuova casa era a qualche isolato di distanza dalla scuola, così, come ogni mattina , dopo aver fatto colazione prese la sua borsa e uscì di casa a piedi.
A scuola tutti le sembravano così vuoti, frivoli, così abituati a quella vita caotica che non le apparteneva. Finite le lezioni decise di recarsi a Central Park (unico posto in cui si sentiva veramente capita) e passeggiando tra gli innumerevoli sentieri ebbe la sensazione di essere osservata, fin quando dietro ad un albero vide una figura incappucciata che sembrava aspettarla.
Rose lentamente si avvicinò.
~ Lilith ~
Lilith si era sempre sentita fuori posto, ovunque si trovasse. Nonostante la grandissima città che la circondava, le infinite strade ed i maestosi palazzi, le sue gambe non riuscivano a trovare mai pace, veloci la portavano ovunque e in nessun posto. Passava la sua vita dentro la sua testa, immersa nelsuo mondo, e molto spesso, lontana da tutti i suoi simili. Non erano come lei, erano leggeri... come vuoti, e non sempre riusciva a fingere, per poter conoscere un contatto umano. Quel giorno era particolarmente stufa, di tutto, e a scuola non era voluta andare. L'idea di doversi confrontare con il mondo, la nauseava, e purtroppo le capitava molto spesso di ritrovarsi così: il viso pallido nascosto da lunghissimi capelli neri, le mani nel giubbotto e le cuffiette nelle orecchie, a chiudere il caos del mondo, fuori dal suo. Camminava senza meta, sotto una leggera pioggia, ormai da tutta la mattina. Aveva attraversato il parco, cuore della città, da cima a fondo, si era soffermata su diverse panchineumide, e in mezzo ad alcune strade, sulle strisce pedonali, con lo sguardo rivolto verso l'altro, i taxi a suonarle, spazientiti, di fretta... ma nessun posto sembrava riuscire a rincuorarla.
Alzando il naso verso il cielo plumbeo, sentì lo stomaco brontolare furioso... era ora di fronte ad un bar, fortunatamente, deserto. Sorridendo gentile alla donna dietro il bancone, ordinò un caffè doppio con latte ed andò a sedersi su uno sgabello alto, di fronte all'ampia vetrata che dava sulla via affollata. Dallo zaino prese un diario, rigorosamente nero, una penna e iniziò a scarabocchiare. Ognitanto il suo sguardo si posava all'esterno, in cerca di un pensiero, o perso in una qualche sua folle fantasticheria, mentre mordicchiava, gentilmente, le lunghissime unghie e sorseggiava quel caffè a cui aveva aggiunto decisamente troppo zucchero.
"Tutti finiscono a chiedersi alla mia età -e non solo- chi sono io?".
Scrisse senza badare alla calligrafia, correndo con le dita dietro ai pensieri veloci. "chissà quanti riescono poi a rispondersi. Cerco ogni giorno quella scintilla che possa illuminare la mia strada, la realtà che mi appartiene. Sono sicura tutti noi ne abbiamo una, quella giusta, quella che ci scalda il cuore... quella che ci fa sentire al nostro posto."
Sospirò, spostando i capelli dietro le orecchie, perdendo per un attimo lo sguardo, nel nulla. "Forse sono solo una sognatrice... e finirò per cadere dall'alto di queste nuvole cheho nella testa...".
Concluse lasciando cadere la penna, e stringendosi le braccia al petto, fissando la pagina su cui aveva appena scritto con i grandissimi occhi scuri.
Gli stessi che alzò, sconsolati, di nuovo di fronte a sé.
Sentì il sangue gelare.
Una figura incappucciata, era lì, riflessa, fuori da quel vetro, in strada.
Sentiva la sua presenza.
Lilith restò immobile, a fissarla.